INCONTRO
CON COTTINI
di Antonella Busseni
Sento come una grande vampata che mi brucia dentro,
quando penso agli anni della fanciullezza trascorsi in campagna. (L.
Cottini)
Lo studio di Cottini a Calvisano è una stanza accogliente: la luce
dorata dell'unica lampada illumina le sedie rivestite di velluto, i libri
d'arte disposti sul pavimento in file ordinate, i mobili scuri su cui
si affastellano vecchie fotografie che evocano incontri, amicizie, ricordi,
quasi a contraddire l'immagine di artista solitario ed intransigente che
talora gli è stata affibbiata.
Al centro della stanza campeggiano il cavalletto ed un piccolo tavolo,
con tubetti di colore e pennelli perfettamente allineati.
Non una fucina ingombra di tele e grondante di colori ma uno spazio intatto
dove Cottini deposita con pudore le sue opere finite: tronchi contorti,
figure stranite, volti scarni e allucinati come maschere tragiche o grottesche
in cui ci rispecchiamo sgomenti.
Nato a Brescia il 28 luglio 1932, Luciano Cottini ha vissuto gli anni
dell'infanzia dapprima a Viadana, poi a Calvisano. La sua famiglia abitava
presso la cascina Patès, un nome che deriva dal latino ("terreno
aperto, distesa di campi") ma che in dialetto bresciano suona amaramente
come una condanna di tribolazione e miseria.
E' l'artista stesso a fare ironia sulle proprie origini, sull'infanzia
durissima che ha inciso ricordi indelebili sul suo animo sensibile, redenta
soltanto da quella passione per il disegno coltivata in modo assoluto:
giornate di sole, giornate di speranze folli, di progetti impossibili
e immensi.
Dopo aver concluso le scuole elementari e frequentato due anni di avviamento
professionale a Montichiari, percorrendo quotidianamente il tragitto in
bicicletta, Cottini si iscrive all'Accademia Carrara di Bergamo sotto
la guida di Trento Longaretti e più tardi all'Accademia di Brera
a Milano, preferendo, all'orientamento astratto, gli insegnamenti dei
maestro Domenico Cantatore, esponente dell'indirizzo figurativo.
Soprattutto a Milano, l'artista entra in contatto con un ambiente culturale
lontanissimo dalla realtà d'origine, provando talora un senso di
inadeguatezza e di sofferenza nel contatto con persone più emancipate
e colte. Ma proprio il contesto milanese gli riserva nuove importanti
occasioni: alla prima mostra personale, allestita in una galleria di via
Moscova, intervengono (acquistando tutti un disegno) l'editore Giovanni
Scheiwiller, Raffaele De Grada, Ernesto Treccani e Lamberto Vitali, grande
collezionista delle opere di Morandi.
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Molteplici
furono gli incontri con artisti, critici d'arte, intellettuali: Via Pontaccio,
via dei Fiori Chiari, via dei Fiori Scuri erano il centro di un mondo
che oggi non esiste più e talora l'artista ripensa con nostalgia
all'atmosfera che si respirava al caffè Giamaica, frequentato dai
pittori e dagli studenti dell'Accademia. Cottini rimane a Milano per una
ventina d'anni insegnando figura disegnata al liceo artistico di Brera.
L’origine provinciale, che gli era apparsa per certi versi limitante,
lo induce a valutare la realtà in modo più complesso, a
condannare con estremo esercizio di rigore morale ogni atteggiamento superficiale,
a rifiutare ogni adesione agli indirizzi ideologici quasi obbligatori
che dominavano la scena culturale milanese fino agli anni Ottanta.
La sua pittura, nel frattempo, si volge sempre più radicalmente
verso temi meno lirici, verso un naturalismo drammatico che ha nell'Austria
e nella Germania il suo fulcro.
A questo orientamento contribuisce la coscienza di essere lombardo e bresciano
(Romanino e Ceruti sono l'opposto di Tiepolo), fino ad abbracciare modelli
inquietanti e potentemente espressivi come Schiele, Kubin, Ensor, Munch,
Bacon, Kokhoschka e Soutine, di cui vede una mostra memorabile a Lucerna
quando il pittore lituano era ancora pressoché sconosciuto alla
critica italiana. Calvisano continua ad essere una meta importante nel
bizzarro itinerario dell'anima che spinge Cottini a vagare settimanalmente
fra i due estremi della Lombardia, uno spazio per ritrovare gli affetti
più cari e i frammenti di normalità: qui riceve la visita
di Giuseppe Tonna che, laureatosi a Pisa con il grande filologo Giorgio
Pasquali, insegna materie classiche al Liceo Arnaldo di Brescia. Nasce
un'amicizia profonda, alimentata dalle comuni radici contadine, ed una
feconda contaminazione creativa che induce Cottini a farsi illustratore
dei racconti di Tonna e lo scrittore a farsi editore critico degli scritti
di Cottini.
Un'amicizia che si allarga ad Oreste Marini, professore a Castiglione
delle Stiviere, grande studioso dei Ceruti e teorico del Chiarismo.
La mostra "Calvisano per Cottini” apre un nuovo orizzonte,
mostrando per la prima volta la natura del collezionismo locale e l'interesse
dei concittadini verso l'opera di Cottini, che ebbe nel compianto professor
Franco Sandrini il primo, entusiasta estimatore.
Il paesaggio della Bassa - con i suoi alberi schiantati dal gelo, i cieli
lividi, i rami scheletriti dove la linfa si attarda - è lo scenario
drammatico in cui si muovono figure di emarginati, famiglie contadine
colte nella miseria quotidiana e nella vicinanza al destino delle bestie,
a suggerire la dimensione animalesca di certe esperienze umane (la fame,
la paura, il dolore, la morte ... ).
Una pittura che concede raramente momenti di lirismo ma che viene accolta
come estremo, pietoso tentativo di descrivere la morente civiltà
contadina nella sacra fissità dei suoi gesti: immagini sepolte
dal tempo, situazioni che hanno il sapore delle cose perdute.
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CALVISANO
PER COTTINI
di Vanda Sabatino
Una domenica pomeriggio di gennaio, nella galleria Arte
Amici di Calvisano, il professor Virginio Prandini mi rivolse una proposta
interessante. Cercava sostegno per l'organizzazione di una mostra a Luciano
Cottini. Stringemmo subito un'alleanza.
Già con Devozione e Meraviglia, dedicata agli artisti di Calvisano,
entrai in contatto diretto con il Maestro e da allora mi ripromisi di
fare tutto il possibile per promuovere l'artista e le sue origini. L’incontro
con Prandini determinò il tempo dell'azione.
In breve i nostri desideri trovarono terreno fertile: il completo appoggio
del Sindaco Angelo Formentini, l'impegno dell'Assessore alla Cultura Bruno
Pari, la formazione di una Consulta per la Tutela e Valorizzazione dei
Beni Artistici, costituita da un gruppo di esperti che fra le proprie
priorità inserì una mostra da dedicare a Cottini.
Nelle serate di riunioni nacque l'idea di cercare la collaborazione dei
collezionisti di Calvisano. Non c'era l'intento di fare un'esposizione
con le opere recenti, neppure di proporre un tema su cui l'artista avrebbe
potuto esprimersi, ma la volontà di ricostruire una vita, raccontata
attraverso le immagini che l'hanno accompagnata, attraverso le opere che
gli abitanti di Calvisano hanno saputo scegliere.
Il lavoro, lento e meticoloso, ci ha visto impegnati prima nell'individuazione
delle famiglie dei collezionisti, informati dell'iniziativa da un tam
tam di voci, poi nella schedatura e catalogazione di tutte le opere rinvenute.
Non immaginavo che la partecipazione sarebbe stata così numerosa
e appassionata.
Questi preziosi custodi d'arte e memoria hanno aperto le loro case per
mostrare l'essenza dell'amore per Cottini, raccontarne la storia, in frammenti
e aneddoti. Un'esperienza straordinaria per noi partecipare a questa peregrinazione
e avere il privilegio di scorgere le espressioni di Cottini all'incontro
con le proprie opere. Lavori che non ricordava o di cui aveva perso le
tracce. Ogni giorno la gioia di ritrovare una parte di sé. Tutte
le opere catalogate sono state raccolte nella sezione Tavola cronologica
di questo volume e solo alcune fra queste, sessantanove, sono state selezionate
per la mostra. L’intento è quello di fornire un panorama
complessivo della produzione di Cottini suddivisa non per temi, ma per
tipologie di tecniche adottate - oli, acquerelli, disegni - seguendo,
quanto possibile, l'iter temporale. Da questa indagine si è ritenuto
opportuno escludere le acqueforti, data l'eccessiva difficoltà
espositiva per i nostri mezzi e considerata l'esaustività delle
pubblicazioni già esistenti. Variatio è la parola chiave
di questa mostra.
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Chi
come me, prima d'ora aveva una conoscenza parziale e limitata delle opere
del Maestro resterà sorpreso.
Siamo
stati abituati a pensare a lui come al cantore della vita della campagna,
ricca di stenti e miserie, in cui i protagonisti mostrano evidenti le ferite,
impresse sulla pelle incerta e sul fondo degli occhi spalancati, assenti.
Siamo stati abituati alla tragicità di una narrazione cruda, fatta
di sentimenti urlati in silenzio. Conoscevamo la fragilità della
condizione umana descritta nella sospensione di un'attesa. Paesaggi desolati,
la cui forza vitale è eroica sopravvivenza agli eventi e la natura
diviene rappresentazione metaforica dell'uomo in una continua proiezione.
Ma non potevo immaginare che accanto a questa produzione ve ne fosse un'altra:
la delicatezza di certi paesaggi, la dolcezza di alcuni volti, la profonda
umanità che traspare dai personaggi anche nei momenti di maggiore
dolore. E poi l'uso dei colore. Tonalità cariche di magia che enfatizzano
il tema e il soggetto. Per questo motivo la prima opera in mostra è
un vaso di fiori, un lavoro che certamente non può essere considerato
d'esordio, vista la dimestichezza dell'uso dell'olio, ma che vuol essere
rappresentativo di questa nuova visione dei lavoro di Cottini in cui la
poesia diventa necessaria compensazione del reale. Il percorso prosegue
con la rappresentazione di luoghi autentici, ricchi di dettagli descrittivi,
seguiti dallo studio della figura umana che dalla stilizzazione iniziale
giunge in breve alla pura cifra di Cottini, un segno inquieto di valenza
empatica. Persone sole davanti allo spettatorepittore, o al massimo in
coppia in amorevoli abbracci senza volto. I paesaggi, realistici o astratti,
diventano col tempo privi di figure, lande estese di terra e cielo uniti
dalla verticalità di alberi scarni. Citazioni dall'antico. Scene
sacre in cui l'assenza dello sfondo contribuisce a determinare l'atemporalità.
Autoritratti sempre diversi, nell'esternazione di un'identità mutevole
per la finezza del suo sentire.
Luciano Cottini, delicato e sensibile nell'approccio e nel confronto con
i modelli del passato è un generoso interprete e interlocutore del
presente.
Disposto a migrare per esprimersi, entra in contatto con i principali intellettuali
e artisti del Novecento italiano. Osservatore attento del suo tempo ha il
coraggio di dire sempre ciò che pensa anche a rischio di risultare
scomodo, mostrando di avere punti fermi e rigorosa morale. Anche la trattazione
di temi sociali nell'arte è testimonianza del suo valore d'uomo in
grado di prescindere dagli schieramenti e dalle ideologie politiche.
Sa emozionarsi al ricordo della dedica che il suo insegnante Domenico Cantatore
scrisse su una copia della propria monografia del 1977, che poi gli regalò:
“A Luciano Cottini, orgoglio della mia scuola".
In questo sentimento è riassunta la fatica dell'affermazione di un
artista e il godimento conseguente al raggiungimento del successo, per lui
non determinato solo dal pubblico, ma dalla figura di riferimento. Chi ha
avuto la fortuna di essere allievo di un buon maestro, sa quanto valgono
queste parole, e quanto si possa fare per gli altri. |